AVIP

LE DONNE DI DOBOROVCI

L'esperienza di un gruppo di volontari a contatto con le famiglie dei profughi di Srebrenica

Documento dell'A.V.I.P.(Associazione di Volontari per Iniziative di Pace) di Sant'Angelo di Piove (Padova)

I nostri rapporti di solidarietà ed amicizia con i bosniaci scampati al massacro di Srebrenica cominciarono nel 1996, a pochi mesi dalla cessazione del conflitto in ex Jugoslavia.

Era una settimana d'agosto, quando per la prima volta le nostre "ferie da volontari" ci portarono a Doborovci, un paesino di 2.000 abitanti immerso nelle verdi colline attorno alla città di Gračanica.

"Doborovci, Gračanica": per noi erano solo nomi che non ci dicevano nulla; potevamo orientarci un po' di più sapendo che queste località erano nel Cantone di Tuzla (città più volte menzionata durante la guerra).

Ma il nome che indicava la provenienza dei profughi ci diceva molto: Srebrenica. Un nome che ci ricordava le tragiche ed orrende notizie sulla guerra, che avevamo appreso da giornali e televisione.

La gente scampata al massacro era lì, di fronte a noi: moltissimi bambini, le loro mamme, qualche anziano, pochissimi i giovani e gli uomini.

Eravamo imbarazzati: come comportarci con loro, di cosa parlare? Essi ci aiutarono a superare l'imbarazzo.

I bambini e i ragazzi si avvicinarono subito a noi, con il loro entusiasmo nel partecipare ai giochi e alle gare sportive che avevamo preparato per loro.

Ma dietro di loro c'erano le mamme, che volevano vedere di persona che cosa proponevamo per i loro figli.

A questo primo contatto seguirono le visite ad ogni famiglia, per la consegna degli aiuti umanitari che avevamo portato dall'Italia a nome della nostra associazione.

Nei primi contatti eravamo un po' impacciati: non sapevamo come avvicinarci a quelle persone uscite da pochi mesi da un'esperienza terribile, una guerra tremenda che aveva lasciato delle ferite che il tempo non avrebbe mai potuto rimarginare del tutto.

Ma rimanemmo impressionati dalla compostezza e serenità che quelle donne ci comunicavano.

Alcune erano più espansive, altre più riservate; ma in tutte potevamo cogliere la determinazione e l'energia che le animava nell'impegno di badare alla propria famiglia, dopo aver perso tragicamente il sostegno del marito.

Un po' alla volta si creò un rapporto di amicizia, rinsaldato ogni anno durante le nostre missioni d'agosto.

Ma cominciammo anche a condividere con loro l'ansia per il futuro.

Noi, volontari appartenenti ad un piccolo gruppo, con modeste risorse che venivano dalle iniziative di autofinanziamento, non potevamo risolvere i loro grossi problemi: il ritorno nelle loro terre, un lavoro stabile per i giovani che stavano crescendo, una casa non provvisoria.

Nell'attesa di un rientro che non si realizzava mai, alcuni, più fortunati, trovavano sistemazione in Germania, Stati Uniti, Canada, in base alle quote d'ingresso stabilite da vari paesi.

Quelli che restavano, si sentivano doppiamente frustrati: non poter tornare a casa, e nemmeno trovare una nuova sistemazione all'estero.

I paesi stranieri accettavano solo nuclei famigliari completi: papà, mamma e figli.

Le donne vedove con figli piccoli restavano nel campo profughi.

Col passare del tempo alcuni nuclei famigliari, pochi, riuscirono a tornare nei propri luoghi d'origine nella zona di Srebrenica, altri invece trovarono una sistemazione a Gračanica o a Sarajevo.

Per quelli che rimanevano nel campo profughi, il futuro rimaneva sempre molto incerto.

In alcune famiglie, che erano state inserite nel campo profughi in un secondo tempo, si presentarono situazioni di particolare sofferenza e disagio, sia per eventi particolari molto critici, sia per la difficoltà di rapporti con gli altri membri della comunità.

In questi casi la nostra azione si rivelò particolarmente difficile, tanto da lasciare in noi a volte un senso di frustrazione, perché non c'era bisogno solo di offrire un aiuto materiale, ma soprattutto di garantire un sostegno psicologico, per favorire il loro collocarsi in un sistema di relazioni positive: un impegno questo per il quale ci sentivamo impreparati, anche a causa della nostra presenza in loco non continuativa.

Col passare del tempo pensammo che fosse necessario migliorare i nostri progetti di solidarietà: non più la semplice consegna di aiuti, quasi in forma di beneficenza, ma la ricerca di progetti di vera cooperazione, cercando di individuare delle attività in cui i profughi fossero essi stessi i protagonisti.

Però le idee faticavano ad arrivare: le famiglie ospitate nel campo profughi non erano una comunità vera e propria; erano originarie di località diverse e si erano trovate a vivere insieme a causa della guerra.

E noi non volevamo imporre i nostri progetti.

Poi ci venne l'idea di proporre a loro che si dessero una struttura organizzativa nell'ambito del campo; perciò di decise che fossero scelti da loro tre rappresentanti: un uomo, una donna, un giovane.

La decisione si rivelò positiva.

Da loro arrivarono alcune proposte.

All'inizio si trattava di segnalare particolari necessità di aiuto.

Ma un po' alla volta arrivò anche l'idea più interessante: trovare delle forme di incentivo per incoraggiare e aiutare tutti quelli che volevano darsi da fare per intraprendere delle attività lavorative.

Il primo intervento fu l'acquisto di una motosega da usare collettivamente: questa semplice macchina serviva sia per tagliare la legna per il proprio fabbisogno, sia per i lavori che alcuni uomini e ragazzi avevano cominciato a fare per conto terzi.

Sulla scia di questo primo semplice intervento, le donne ebbero subito un'idea bellissima: alcune di loro erano abili nel confezionare tappeti col telaio manuale, e ci dissero che erano in grado di venderne a noi un certo numero, perché poi li rivendessimo in Italia.

La cosa funzionò bene fin da subito: in occasione delle nostre vendite nelle "bancarelle" che organizziamo nel nostro territorio, i tappeti sono sempre un articolo molto richiesto e molto gradito.

Oltre a procurare una fonte di guadagno per le famiglie dei profughi, si ha l'occasione di svolgere una vera azione interculturale, valorizzando e sostenendo l'artigianato tipico della Bosnia.

Oramai era partito un percorso, e dopo un po' di tempo venne individuata un'altra possibilità importante.

Alcune famiglie di profughi avevano preso in affitto dagli abitanti del villaggio del terreno per la coltivazione di ortaggi.

Si pensò di fare una proposta: la nostra associazione avrebbe potuto incentivare lo sviluppo di tale attività.

Fu così che si pensò di coltivare in grande quantità i cetrioli, che potevano essere venduti ad una ditta della zona.

Pertanto si decise di operare nel modo seguente: la nostra associazione assegnava ad ogni famiglia un contributo per le spese di affitto e acquisto di sementi e concimi, sulla base di un contratto che ogni famiglia stipulava con i proprietari di terreno e con la ditta che avrebbe acquistato il prodotto.

La cosa andò bene fin da primo anno: aumentò il numero di famiglie che si dedicavano a tale coltivazione; nonostante le difficoltà dovute all'insicurezza delle condizioni climatiche (o le piogge eccessive nel periodo della crescita delle piantine, o la siccità al momento della maturazione), tale attività fornisce ora un reddito che copre una buona parte del fabbisogno per il sostentamento famigliare.

Le donne in questa vicenda hanno avuto un ruolo significativo.

In molti casi erano loro i capi-famiglia, con figli ancora molto giovani: nel progetto di coltivazione dei cetrioli hanno saputo e voluto affrontare con energia i vari impegni, sia nel momento delle decisioni, sia nei faticosi e lunghi lavori nel periodo estivo.

Col passare del tempo, grazie ai contatti divenuti sempre più regolari, si consolidarono anche i rapporti personali, soprattutto tra le donne profughe e le nostre volontarie.

Ecco allora che, accanto ai momenti di "impegno" fu possibile anche creare momenti più lieti: la cosiddetta gita in qualche città vicina, sia per momenti di evasione, sia per dare la possibilità di fare acquisti in centri commerciali a prezzi più accessibili; oppure il laboratorio di bigiotteria, il più recente progetto creato dall'inventiva delle nostre volontarie.

Il breve resoconto fin qui illustrato può dare l'idea che siamo nell'ambito dei microprogetti, che, senza falsa modestia, possiamo dire che in questo caso hanno funzionato.

Il fulcro di questi microprogetti non è solo l'efficacia delle azioni svolte, ma il grande risultato ottenuto nel campo delle relazioni interpersonali, che ci hanno permesso di vivere in modo concreto ed intenso una vera esperienza di solidarietà e di arricchimento reciproco, nello spirito più genuino della dimensione interculturale.

La nostra associazione (A.V.I.P.) fa parte di un'organizzazione formata da vari gruppi comunali del padovano, il "Comitato di Aiuto alle Forze e Iniziative di Pace", che continua, a distanza di anni, nel solco tracciato da Alexander Langer durante il conflitto in ex Jugoslavia.

Nel primo periodo venivano consegnati aiuti ai profughi bosniaci che si erano rifugiati in Croazia.

Successivamente, al termine della guerra, per i volontari fu possibile raggiungere direttamente le zone devastate dal conflitto, dove era presente un alto numero di profughi.

I gruppi della provincia di Padova di Padova indirizzarono i loro aiuti e progetti di solidarietà nelle zone di Gračanica (popolazione bosniaco-musulmana) e Petrovo (popolazione serbo-bosniaca).

Ad ogni comitato fu assegnato un villaggio appartenente a queste due comunità; perciò all'A.V.I.P. fu dato il compito di seguire il villaggio di Doborovci.

Nel tempo l'aiuto e la solidarietà portati si sono trasformati in rapporti di amicizia e collaborazione che non sono rimasti confinati al singolo Comitato-Villaggio, ma si sono estesi anche al di fuori; l'interazione tra le associazioni padovane che fanno parte del Comitato Provinciale di Padova ha fatto si che questo rapporto si fortificasse tramite la realizzazione di progetti di pace comuni tuttora in fase di sviluppo.

Lo scopo è far collaborare e lavorare i volontari delle due diverse etnie di Gračanica e Petrovo, per poter ricucire le crepe che la guerra ha posto tra di loro e rinsaldare i rapporti a livello umano.

I progetti sono i più svariati; tra questi, i più importanti sono:

  • Progetto "Maratona Eko-Spreca": una manifestazione sportiva (corsa podistica) alla quale partecipano i ragazzi delle scuole dei villaggi di Gračanica e Petrovo.
    Annualmente viene scelto il percorso che comincia dalla zona serba e termina in quella musulmana, e viceversa.
    Al termine dell'evento vengono poi realizzati momenti di ristoro alternati a brani musicali e danze tradizionali – popolari.
  • Progetto "Scuole Ponti di Pace": scambio interculturale tra studenti delle scuole bosniache con studenti delle scuole italiane, non solo per via epistolare, ma anche tramite visite del luogo.
    Durante il periodo di visita, gli alunni vengono ospitati presso le famiglie dei ragazzi con cui fanno corrispondenza.
    Lo scambio comprende anche forme di confronto e condivisione sui programmi didattici e sui metodi d'insegnamento.
  • "Giochi senza Frontiere": i ragazzini dei diversi villaggi partecipano a giochi di vario tipo, per vivere esperienze di aggregazione oltre i confini del proprio paesino, superando l'ottica dell'antagonismo.
    L'evento viene ospitato da uno dei villaggi partecipanti, a rotazione; al termine si svolge una festa che accomuna tutti, con rinfresco e intrattenimento musicale.
  • Progetto "Summer Camp" (Campo scuola: l'attività di formazione e aggregazione è rivolta ai giovani della fascia di età da 17 a 24 anni, ragazzi e ragazze provenienti dai vari villaggi.
    Essi condividono per qualche giorno l'esperienza dello stare insieme, partecipando ad esperienze culturali e ricreative, ma soprattutto condividendo la semplice quotidianità.

In tutti questi progetti è sempre significativa la presenza delle donne, soprattutto in occasione di eventi particolari, sia quando sono attente alle attività in cui sono coinvolti i loro figli, sia quando danno un apporto diretto di collaborazione per i vari momenti conviviali: si creano così occasioni di aggregazione e di dialogo, al di là dei confini etnici.

Stile predefinito (basso contrasto).Cambia stile (testo scalabile, medio contrasto).Cambia stile (testo scalabile, alto contrasto).[Non definito.]
ricerca solo nel sito AVIP